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Intervista a Manuel Basoalto.

Cineasta e documentarista cileno che con una produzione che supera le 60 opere come regista televisivo in Cile, Europa e Stati Uniti, riceve durante il XX Festival del Cinema Latino Americano di Trieste un riconoscimento per il suo lavoro sulla la memoria di Pablo Neruda.

Di Sabatino Annecchiarico

Trieste, 24 octubre 2005

Quali dei suoi lavori propone nel XX Festival del Cine Latinoamericano?

Una retrospettiva dei documentari che ho girato sulla figura di Paolo Neruda.

Possiamo avere un'anticipazione?

Ma certo: Fulgor y muerte de Joaquín Murieta . È l'unica opera teatrale di Neruda, scritta tra il '67 e il '68. Su questa pièce il musicista Sergio Ortega, che è l'autore tra gli altri del famosissimo brano "El pueblo unido jamás será vencido", lavorò 30 anni per convertirla in un'Opera. Ha debuttato come Opera a Santiago de Chile nel Teatro Municipal con la musica di Ortega e con i 300 artisti dello stesso teatro. Fu la prima Opera Latinoamericana invitata al Festival dell'Opera di Savonnlina, che è uno dei più grandi al mondo, perché riunisce da un lato i personaggi più importanti della cultura cilena, come gli stessi Neruda e Ortega, dall'altro unisce la tradizione dotta con la musica popolare.

Perché ha deciso di presentare in anteprima la sua opera al Festival di Trieste?

Volevo che questo documentario, del resto appena ultimato, fosse presentato in questo festival per il profondo vincolo che l'Italia ha con la lirica, e nello stesso tempo per i temi che questo Festival affronta ogni anno in stretta relazione con il continente latino.

Dov'è ambientata l'opera?

In California negli anni tra il 1870 e 1890 durante la febbre dell'oro, anni in cui i latinoamericani viaggiavano verso gli Stati Uniti per guadagnarsi un sogno. Disgraziatamente molti di loro morirono per le condizioni di lavoro nei lavatoi del metallo giallo. È una opera che si riferisce a quel periodo però possiede ancora una grande attualità, specialmente per il vincolo tra il paese del nord e i Latini del sud. Quando parliamo oggi di "schiene bagnate" e dell'emigrazione illegale di questi tempi, Fulgor y muerte de Joaquín Murieta riflette molto bene questi temi e i motivi dell'immagine negativa che i latinoamericani hanno degli U.S.A.

Qual è la sua opinione rispetto a quella famosa e tragica frontiera tra gli Stati Uniti e Latino America?

Per me si tratta di una frontera in cui si manifestano territorialmente tutti i conflitti, tutte le incomprensioni che esistono tra chi vive al Nord e chi al Sud. Credo oltretutto che in quella frontiera sia ben rappresentata l'ingiustizia del rapporto tra Stati Uniti e paesi latinoamericani. Non mi riferisco solamente al popolo nordamericano. Mi riferisco ai suoi governi e alle sue politiche successivi. Quella frontiera, conosciuta personalmente, mi ha permesso di conoscere la storia di molti immigranti. Ho notato anche che si poteva passare la frontiera solo quando negli USA era il tempo della semina finito il quale venivano espulsi. Molte volte per agevolare le espulsioni gli immigrati clandestini erano denunciati dagli stessi datori di lavoro. Come si può capire questa realtà non è molto distante da quella della ebbre dell'oro che citavo prima. Questo conferma il fatto che lo sfruttamento della mano d'opera di migliaia di lavoratori latini negli Stati Uniti non è cambiata da cent'anni a questa parte.

Parlando di frontiere, sono paragonabili le frontiere degli Stati Uniti e quelle europee?

Curiosamente queste due frontiere, in qualche modo sono simili. È sufficiente osservare la posizione di alcuni paesi colonizzatori rispetto all'Africa e al nostro continente, come hanno ridotto alla povertà molte persone rendendo loro la vita molto difficile. Inoltre il fatto di aprire e chiudere le frontiere secondo i propri interessi rende i due comportamenti governativi molto simili.

Torniamo a Neruda usando "quelle" frontiere: le opere di Neruda hanno frontiere?

Pablo Neruda finì col non essere cileno, argentino, brasiliano o peruviano. Il valore della sua opera è che non esiste paese o continente che la racchiuda: è patrimonio dell'umanità. Sebbene amasse il suo Cile e fosse profondamente cileno oggi è una figura che appartiene al mondo. Questo perché Neruda è vissuto nella sensibilità delle persone e in chi non ha smesso di credere nelle grani utopie, ei grandi sogni, nella possibilità di costruire un mondo migliore. Credo che poeta e profeta siano due parole vicine nel caso di Neruda, nell'anticipare la storia. Neruda si pose al centro della storia e grazie a questa condizione ha potuto capire la direzione della storia, dei popoli, dei paesi. È per questo motivo che l'opera di Neruda è cresciuta nel tempo come in una costante attualizzazione e progressiva perdita di "quelle" frontiere, diventando un'opera dinamica, universale. Com'è noto Neruda morì nel 1973 e ciononostante la sua opera continua a vivere e ad essere tradotta in molte lingue e si arricchisce, si incrocia con il cinema , la danza, la pittura. È impressionante vedere la quantità di omaggi che in tutto il mondo sono stati resi a Pablo Neruda, e questo omaggio di Trieste si aggiunge a quelli organizzati in Cina, Egitto, in tutto il mondo.

Cosa fa dell'opera di un artista o un poeta, come Neruda, un'opera universale?

Neruda ha toccato le parti sensibili dell'essere umano, ha toccato il senso dell'amore, il senso della giustizia, il senso del futuro, il senso di un mondo distinto. Che non sono altro che gli archetipi della tragedia greca ricondotta fino ai nostri giorni. Per questo la sua opera è universale.

Neruda visse per un breve periodo in Italia. Come andò quella storia?

È una storia interessante. Neruda arriva in Italia dopo un difficile periodo in Cile quando era senatore. Nel 1948 uscì dal Cile durante il governo di Gabriel González Videla e si nascose di casa in casa, dopo che gli fu tolta l'impunità ed essere stato perseguitato per un anno intero. Alla fine attraversa la frontiera per l'Argentina attraverso un passo di contrabbandieri, arriva a San Martín de los Andes e da qui viaggia verso la Francia con un passaporto falso, a nome di Antonio Ruiz, di professione ornitologo; in Europa lo riceve Pablo Picasso, il quale si occupa della documentazione utile alla sua permanenza in Francia. Così entra in Italia, dove conosce Matilde Urrutia, che diviene il suo ultimo amore, e si insedia all'isola di Capri dove scrive Versos del Capitán , un grande libro d'amore. In Italia si converte in un doppio clandestino: firma il suo libro sotto il falso nome di "El capitán" ed è ancora sposato legalmente con l'argentina Delia del Carril; decide, ad ogni modo, di vivere il suo intenso amore con Matilde.

Data la sua condizione di "quasi" clandestino, chi finanziò il libro Versos del Capitán ?

Fu un'opera che conobbe la fama rapidamente. La sua prima edizione, costituita solo da 44 esemplari, fu finanziata da Visconti, Caprara e Trombadori e stampata nella tipografia Arte Tipografica di Napoli.

Quale fu, secondo il suo punto di vista, la reazione degli italiani a quella presenza così speciale?

La reazione del popolo italiano fu sorprendente. González Videla seppe dal Cile che Neruda viveva in Italia e organizzò la sua estradizione. Quando la polizia lo volle espellere dall'Italia, alla stazione ferroviaria, dove avrebbe dovuto prendere il treno, un drappello di persone si riunì per difenderlo, provocando tra l'altro uno scandalo pubblico. Il governo italiano, messo di fronte all'evidente immagine negativa che si stava generando dal punto di vista internazionale, rinunciò all'espulsione di Neruda. Fu così che si fermò in Italia.

Cileno era Neruda e anche Violeta Parra. Quale fu la relazione tra loro?

Si conobbero a fondo. Pablo Neruda ha scritto su di lei e lei musicò le sue poesie. E poi tra loro c'era un vincolo molto stretto e importante basato sull'amicizia e sulla condivisione di valori politici. Fu un vincolo che si estese anche alle loro rispettive famiglie.

E con Víctor Jara?

Quando venne presentato Fulgor y muerte di Joaquín Murieta , nell'intermezzo musicale cantava Víctor Jara, che nel il suo repertorio aveva molte poesie di Neruda. Ma ancora più importante è sottolineare che loro, Pablo Neruda, Violeta Parra e Víctor Jara, appartenevano ad una generazione che diede vita ad un sistema capace di inserirsi dentro il tessuto sociale e di costruire una visione del mondo e della storia tesa a creare un mondo migliore. È un sistema che il materialismo economico assoluto volle distruggere senza riuscirci, perché la continuità di questa esperienza non è stata spezzata e prosegue come una catena che ancora resiste.

Come si relaziona il suo cinema con il tessuto sociale?

Il cinema è connesso all'arte, all'artigianato. Ma l'arte, questo prodotto artigianale, non sorge da torri d'avorio. Per me l'arte e le mie opere si devono inserire nella storia ed esserne profondamente legate; questo, per altro, è lo stesso spirito dell'opera di Neruda. Quest'arte non si limita a "cantare alla luna per cantarle e niente più" come recitava Atahualpa Yupanqui.

tradotto da Fabio Pasiani

 

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