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Intervista a Ramiro García

Regista del documentario Los Nadies

«Dodici bambini argentini emarginati dalla società, L os Nadies come dicono loro, vivono dove li trova la notte. Rubano, chiedono cibo o vestiti e sanno fare anche un documentario capace di raccontare le loro storie di incomprensione e violenza»

Di Sabatino Annecchiarico

sabalatino@libero.it

Trieste, 26 ottobre 2005

Che storia racconta questo documentario?

È una storia reale di dodici bambini e giovani che vivono abbandonati nelle strade di Buenos Aires, il cui domicilio "fisso" è: "dove li trova la notte". Ignorati o emarginati da gran parte della società argentina, vengono convertiti di fatto in Los Nadies , che è l'espressione che ispira il titolo del documentario.

In questo lavoro, raccontano della vita che conducono tutti i giorni; e lo dicono con la telecamera tra le mani che ci permette di vedere con i loro occhi, occhi che sono attenti osservatori della realtà. La storia è ambientata nella linea del tram Sarmiento tra le stazioni di Haedo e Liniers, anche se molti di loro vengono da Morón, ossia dall'ovest, appena fuori da Buenos Aires.

Qual è l'obiettivo di mostrare queste storie e di raccontarle in questa maniera? Fondamentalmente perché emerga l'altra Argentina, quella ignorata o emarginata. Perché si vengano a conoscere le storie che bambini e giovani si portano dietro fin da molto piccoli, storie di violenza e incomprensione. In più, è importante far vedere le conseguenze implicite del deterioramento dello stato di salute fisica e mentale di questi giovani, dovuto alle condizioni di vita in cui si trovano. Vogliamo anche far vedere a quella "buona società" che non li vuole accettare le espressioni culturali che derivano da queste vite incomprese e violentate.

Quali sono state le reazioni dei bambini del film?

Erano emozionati quando la gente li applaudiva dopo aver visto il documentario. Mai prima d'allora erano stati applauditi pubblicamente e questo è ritenuto più che sufficiente da loro come riconoscimento, una sensazione mai vissuta. Sappiamo che è poco, ma si vedono per un momento pieni quella "speranza di", "possibilità di" e "che sono capaci di". Dove la loro soggettività cambia per terminare d'essere Los Nadies, i bambini della strada. Lo fanno consapevoli che le loro realtà e le loro famiglie sono distrutte; e questo riflette la realtà del paese.

È questa l'unica ragione per la quale hanno accettato questo lavoro?

Ovviamente non è l'unica. Dentro al documentario stesso ci sono le altre ragioni che li motivano; per esempio, alla domanda che loro stessi si fanno "perché farlo?", si rispondono con un chiaro "perché la gente sappia che oltre a rubare e drogarci sappiamo fare anche questo".

È difficile pensare alle ragioni del perché i bambini decidano di vivere per la strada. Emergono in questo documentario?

Sì, molto chiaramente. Per loro vivere in strada è meglio che vivere nelle loro case, distrutte economicamente e moralmente e senza futuro all'orizzonte. Vivere con le loro famiglie significa implicitamente per i bambini ricevere quotidianamente violenze di ogni tipo, incluse quelle sessuali dai loro parenti. È per questo che scappano, alla ricerca di una via di fuga sfidando i rischi che li aspettano nella strada. Questo è fenomeno che oramai si estende ad una seconda generazione di bambini di strada. Bambine di pochi anni hanno dato alla luce bambini che oggi vivono senza aver mai conosciuto una casa e una famiglia che non siano i suoi simili, los nadies .

Per sopravvivere è necessario in ogni caso mangiare e vestirsi. Come sopravvivono?

Ci sono quelli che rubano e quelli che chiedono la carità per mangiare o vestire. Nel barrio li conoscono e alcuni vicini li aiutano. Un esempio è quello della "panchería", un negozio di panchos, cibo locale, che molto spesso regala loro qualcosa da mangiare. Purtroppo sono poche le persone che li aiutano: vivono in una società che non solo non pensa a come aiutarli ma ormai si è abituata a vederli vivere e dormire per la strada come se fosse la normalità.

Ad una vita così dura e piena di violenza consegue una vita piena di rancori?

Sì, ma è un rancore strano: è come se volessero restituire quello che ricevono e lo dimostrano con una carica emotiva dirompente quando vanno a rubare.

Nella relazione tra la polizia e questi bambini si interpone sempre quel "grilletto facile"?

Sicuramente: da un lato è molto difficile, dall'altro è ingiustamente diseguale. Il fatto è che si sta cercando di risolvere il problema dei "grilletti facili", causa della morte di molti minori, ma si interviene solo nella dirigenza della polizia. I bambini vedono i poliziotti come degli agenti pagati da negozianti e abitanti della zona perché intervengano su di loro e non come funzionari pubblici con la missione di proteggere il cittadino. No, solo come un nemico che interviene con la forza a loro discapito. È anche per questo che la mortalità infantile in Argentina è molto alta. Questi minori convivono ogni giorno con la morte e molti di loro, molto presto, già riportano ferite d'arma da fuoco sul corpo.

Per quanto tempo ha lavorato a questo documentario?

Con questo gruppo, composto da 12 ragazzi, avevamo lavorato precedentemente per due anni. 12, numero variabile, per le incarcerazioni di alcuni di loro. Spesso vengono arrestati dalla polizia e detenuti per alcuni anni, poi escono ma poco dopo rientrano in carcere: un spirale che non finisce mai. Spesso mancano anche perché fanno uso di droghe come la colla Poxi-Ram o altre ancora più pesanti. Ma nel complesso, le riprese sono durate solo 7 mesi a partire da quando gli abbiamo dato in mano le videocamere; e per non "interrompere" questa spirale di violenza appena finito il documentario, già 6 di loro erano in prigione. Uno di loro è Robertito, che con la sua voce meravigliosa canta alla fine del documentario: ne avrà per 7 anni.

tradotto da Anush Hamzehian e Fabio Pasiani

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