INTERVISTE
"Trieste apre porte altrimenti
chiuse"
Marcela Serrano
scrittrice e presidente della Giuria
clicca sulla foto per vederla più grande
Marcela Serrano, 52 anni, è una delle
più apprezzate scrittrici latinoamericane. Nata in Cile ha vissuto a lungo in Europa e in
Messico, Paese in cui suo marito, Luis Maira, è stato ambasciatore del Cile. La
scrittrice è presidente della giuria del XVIII Festival con l'obiettivo di "vedere i
film con coscienza" per discuterli con il resto dei giurati.
- Il suo rapporto con il cinema com'è? che tipo di spettatrice è?
"Ho un rapporto molto stretto con il cinema. ho iniziato a vedere film da
bambina, probabilmente il primo film che ho visto è Piccole Donne, con Elizabeth
Taylor. Devo ammettere che come ogni latinoamericano sono una spettatrice soprattutto di
film di Hollywood. L'America Latina ha dei rapporti molto più stretti con il cinema
nordamericano che con il cinema europeo. Amo molto anche il cinema italiano, ho visto
tutti i film di Pasolini, amo Visconti, De Sica e C'eravamo tanto amati l'ho
visto almeno cinque volte"
- E con il cinema latinoamericano che rapporto ha, le piace?
"E' un rapporto che è cresciuto molto negli ultimi anni, sono una
spettatrice attenta, non direi che il cinema latinoamericano ha avuto influenza nella mia
formazione come il cinema di Hollywood, ma seguo le produzioni messicane e dei Paesi
latini."
- Crede che sia cresciuto e maturato?
"Assolutamente sì!, se penso alle produzioni latinoamericane di 20 anni fa
non sono affatto paragonabili a quelle di adesso."
- E' un cinema che potrebbe arrivare al mercato internazionale e avere un proprio spazio?
"Io credo di sì. Il problema del cinema latinoamericano è trovare quegli
spazi che il cinema statunitense chiude, ma non solo al nostro cinema, al cinema degli
altri Paesi in genere. Per questo Festival come questo di Trieste sono importanti, aprono
uno spazio, permettono ai registi e ai produttori di aprirsi una finestra in Europa, farsi
conoscere. Dobbiamo ringraziare Festival di questo tipo."
- Lei ha scritto sei libri. Qualcuno è stato portato sul grande schermo?
"Sì, Antigua vida mia, che è stato diretto da Héctor Olivera e
interpretato da Ana Belén e Cecilia Roth. Mi avevano offerto di scrivere la
sceneggiatura, ma io non avevo tempo e ho declinato"
- Il risultato le è piaciuto?
"Uno scrittore difficilmente è soddisfatto. Il cinema e la scrittura hanno linguaggi
talmente diversi che il primo deve per forza sintetizzare il secondo e per uno scrittore
diventa difficile riconoscersi nella propria opera tradotta in immagini. Non so se sarebbe
diverso se lo scrittore scrive la sceneggiatura; cambiare linguaggio, passare dalla
scrittura alle immagini è una sfida che bisogna accettare solo quando si è pronti. E in
questo momento non credo di poterlo fare."
- Lei è nata in un Paese di democrazia recente, che è uscito da poco da una feroce
dittatura. Crede che il cinema possa svolgere un ruolo nell'analisi del passato?
"Senza dubbio sì. Gioca un ruolo fondamentale nella memoria collettiva e nel
risveglio delle coscienze. Pensiamo a quello che hanno rappresentato i film per denunciare
l'Olocausto, la guerra nel Vietnam. Il cinema in questo è molto importante"
- Che fine merita Pinochet,
secondo lei?
"Pinochet è un cadavere politico, non preoccupa nessuno. Direi che persino
la destra si sta allontanando da lui. Ha dimostrato la sua profonda vigliaccheria quando
è tornato dalla Spagna con la scusa dell'infermità mentale. D'altra parte il capo della
Polizia cilena Manuel Contreras è in carcere e tutti i generali sono stati
processati."
- Il Festival di Trieste ha
istituito quest'anno un premio per ricordare Salvador Allende. Cosa ne pensa?
"Sì, lo so ed è una cosa che mi fa molto piacere. Sono passati 30 anni, il temo
sufficiente per far decantare la storia e iniziare a riconoscere Salvador Allende per
quello che era, con i suoi pregi e i suoi difetti. Il trentennale è stato celebrato in
Cile con molto rispetto, si sta iniziando a prendere coscienza che la sua storia
appartiene a tutti e non solo a una parte politica. Sarebbe bello vedere il giorno in cui
Allende venisse considerato parte non solo della storia cilena, ma di tutti, che
appartenesse a tutti".
- Lei ha vissuto per molti anni
in Messico. Questo l'ha segnata, in qualche modo?
"Assolutamente sì. Sono convinta che non si possa conoscere l'America Latina se non
si conosce il Messico. Quando hai 3000 chilometri di confine con l'Impero e riesci a
resistergli... che gande forza, che grande identità devi avere, no? Io penso sempre che
grazie alla forza del Messico, grazie alla sua identità, alla sua capacità di essere
cuscinetto tra gli USA e l'America Latina noi latinoamericani possiamo avere una nostra
identità e non essere fagocitati. Finché avrò vita amerò il Messico"
Torna
su :.: Home Page |