A.P.C.L.A.I.
Via Massari, 3/14
30175 Venezia
Tel. 0415382371
Fax 041932286

Email
banner03.jpg (17957 byte)

LE EDIZIONI PRECEDENTI :.: 2000 :.: 2001 :.: 2002 :.:                     

 

INTERVISTE

"Un'America Latina unita e forte fa paura"

IMG_5291-150px.jpg (4945 byte)
Carlos Walter Rojas
regista e documentarista
clicca sulla foto per vederla più grande

Carlos Walter Rojas, colombiano, è autore, insieme alla moglie Mónica Lucía Rueda, di cinque documentari presentati dal XVIII Festival del Cinema Latino Americano nella sezione Memoria e presente: i travagli in America Latina. I cinque documentari, di cui Rojas e Rueda sono a turno registi e autori del soggetto, sono Mañana fue la guerra (Domani fu la guerra), Campos de libertad (Campi di libertà), Bios, Psiqué, Zoé, Caminantes Invisibles (Camminatori invisibili), El valor de lo nuestro (Il valore del nostro). Sono documentari che analizzano i vari aspetti della Colombia odierna: la trasformazione del Paese grazie alla mobilitazione delle città e della gente, la lotta per l'identità culturale delle popolazioni indigene, le conseguenze della guerra sulle sue vittime innocenti, il concetto di libertà in alcune comunità della zona occidentale del Paese, le speranze di vita della popolazione nonostante la guerra. Rojas vive attualmente in Spagna, a Valencia, dove lavora in una televisione locale.

- I documentari mostrano alcune delle anime della Colombia, come sono nati e a chi sono destinati?
"Sono cinque documentari che appartengono a una serie di 50 in cui riflettere i processi in corso nel Paese. L'idea è di mostrare altre realtà, di cui non si parla e che la televisione non mostra: il ventaglio è molto ampio perché si va dalle miss Colombia alla guerriglia. Sono documentari destinati soprattutto ai colombiani, prodotti per la televisione dalla Commissione Vida, Justicia y Paz, l'ufficio dei Diritti Umani di Cali, che era diretto dal vescovo assassinato Isaías Duarte Concino."

- Il conflitto e la violenza della Colombia, di cui si parla anche nei documentari presentati al Festival, come vengono vissuti da un colombiano che, come lei, vive all'estero?
"Con molto dolore, chiaramente, perché in Colombia vive ancora parte della mia famiglia. Ma il fatto di vivere all'estero non mi impedisce di sentirmi ancora vittima di violenza. Una violenza ovviamente diversa perché non mette a rischio la mia vita come succede in Colombia e che però mi preoccupa. Vivo nel cosiddetto Primo Mondo, ma siamo sicuri che qui i diritti umani siano rispettati e siano stati risolte tutte le tematiche ad essi legate? quando vedo le disuguaglianze, il trattamento riservato a chi non ha i documenti, mi chiedo se questo che si vende come un mondo migliore sia poi davvero così"

- C'è in questo modo di pensare una sorta di risentimento, del tutto comprensibile, nei confronti dell'Occidente, che ha molte responsabilità sull'attuale situazione politica ed economica dell'America Latina e della Colombia?
"Risentimento no, credo che la ricerca di colpevoli sia un atteggiamento da ingenui. Io credo di essere profondamente realista. Credo che se responsabilità ci sono, sono dell'uomo in quanto tale. Sono consapevole che c'è stata una grande evoluzione, ma da 30 anni a questa parte, da dopo il maggio 1968, che aveva suscitato tante speranze, questo processo si è fermato. A volte mi chiedo a cosa è servito tutto quell'entusiasmo se poi la stessa generazione che invitava a fare l'amore e non la guerra, una volta al potere, non ha saputo proporre un mondo migliore: le frontiere sono chiuse, la classe media è sempre più povera..."

- Presentando i documentari a Trieste, che tipo di reazione volete suscitare?
"Nessuna in particolare. Credo che all'Europa non interessi veramente vedere quello che succede in altri Paesi, non le interessa veramente uscire dagli stereotipi e sapere dell'America Latina"

- Forse agli europei non si dà la possibilità, attraverso i media, di conoscere l'America Latina aldilà degli stereotipi, perché ogni volta che l'America Latina riesce a rompere questo silenzio, trova interesse da parte degli europei...
"Può essere"

- In cosa conserva la propria identità latino americana un colombiano che vive all'estero e che ha un atteggiamento realista circa le cose del mondo?
"Io sento molto forte questa identità latino americana. Mi sento senza dubbio più latino americano che colombiano. Mi sento latino americano nell'amore per la mia terra, nella mia preoccupazione per gli altri, che mi deriva dagli indigeni e dai neri, nella speranza, nonostante tutto. E nella religiosità, che non è tanto il senso della religione cattolica, che con i suoi interventi dall'Europa ha condizionato e condiziona la vita dell'America Latina, ma nella condivisione, nella convivenza"

- Lei è probabilmente di origine più bianca che indigena o africana: come è possibile che anche per chi ha ascendenze soprattutto europee la dominazione passata della Spagna sia sentita come una ferita?
"Io ho origine europea, molto probabilmente nel mio passato ci sono anche delle mescolanze con gli indigeni e con i neri, ma è evidente che sono più che altro di origine europea. In Spagna dico che non sono straniero, ma che sono tornato da dove sono partiti i miei antenati, sono a casa mia, in fondo. Ma il mestizaje, la mescolanza, è un atteggiamento mentale, io ho una formazione assolutamente europea, il mio cibo è indigeno e il mio atteggiamento nei confronti della vita è negro. L'indipendenza della Colombia è stata voluta soprattutto dai bianchi, che non vedevano riconosciuti i loro diritti dalla Corona Spagnola, da noi non si imparano le lingue indigene, non si studia la storia del Paese prima di Cristoforo Colombo. L'attuale violenza della Colombia ha un'origine in quel passato che vide l'arrivo dell'europeo ed è un passato che in quanto colombiano mi tocca profondamente."

- La mescolanza è un argomento comune a molti Paesi dell'America Latina, accomunati anche da molti altri temi. Non potrebbe essere nel sogno di Simón Bolívar di un'America Latina unita, la soluzione?
"Ho molta invidia per l'Europa che è riuscita a superare le sue rivalità secolari, i conflitti tra francesi e tedeschi o tra inglesi e tedeschi, che ha un territorio tanto piccolo in cui si parlano tantissime lingue, e ha creato l'Unione Europea, dando agli europei un'identità unitaria in cui molti si riconoscono. Io credo che l'America Latina non è unita perché le è stato impedito: noi, a differenza dei popoli dell'UE, parliamo una sola lingua, condividiamo una lunga storia. Non siamo Paesi poveri, abbiamo tante risorse naturali, ci manca la stabilità politica. E penso che faccia paura l'idea di un'America Latina unita, forte, in grado di competere e di parlare con una sola voce."

Torna su :.: Home Page