INTERVISTE
"La creatività è individuale, però
il contesto condiziona"
Enrique Alvarez durante l'intervista
regista di Miradas
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Il regista cubano Enrique Alvarez
(L'Avana, 1961), presente per la seconda volta al Festival del Cinema Latino Americano,
partecipa al Concorso con Miradas, una storia di illusioni e disinganni, con uno
sguardo attento verso le giovani generazioni che si confrontano con una vera e propria
ossessione: la fuga da Cuba e dalla sua pesante crisi economica.
- La fuga da Cuba è un tema che ritorna continuamente nei protagonisti di Miradas:
c'è chi è partito ed è tornato per ricominciare nell'isola, chi invece sta pensando di
andarsene per ricominciare altrove, chi invece, pur parlandone, non considera seriamente
questa ipotesi. Davvero questo argomento è così presente nella vita dei cubani?
"Sì, se ne parla molto. La crisi economica è molto pesante e tutti
considerano l'ipotesi di andarsene per garantirsi un futuro migliore."
- Anche lei ha considerato quest'ipotesi?
"Sì, come tutti. Si pensa all'Europa per una certa affinità culturale, agli Stati
Uniti per ambizioni economiche. Ma, alla fine, per me è prevalso il legame con Cuba: è
la mia terra, c'è mio padre, ci sono i miei affetti più importanti. Non potrei lasciarla
davvero"
- Il suo film è stato accolto
positivamente in altri festival, ma lei dice che non è soddisfatto del risultato.
Perché?
"E' una storia basata su una sceneggiatura che ho scritto otto anni fa.
Racconta la storia di un fotografo che va in giro per L'Avana a fare foto e incontra altre
situazioni che lo distraggono. Non sono totalmente contento perché è un progetto che
alla fine non risulta essere né commerciale né personale."
- Che processo segue un film a Cuba per essere approvato e quindi realizzato?
"Date le condizioni economiche è molto difficile fare film, però grazie
alle nuove tecnologie si sta producendo più film indipendenti"
- E come si vive il lavoro di regista a Cuba?
"Riuscire a realizzare un progetto è piuttosto complicato, non è facile.
La creatività è individuale, anche se il contesto influisce e questo non è cosa
indifferente per l'artista".
- La presenza delle scuole di cinema, che sono un punto di riferimento per tutti i
Paesi latinoamericano, contribuiscono al fermento culturale e creativo?
"Be', io sono un cineasta e non ho mai studiato nelle nostre scuole. Dalle
scuole sono usciti, e continuano a uscire, professionisti di grande valore, ma questo
ovviamente non basta. Cuba ha vissuto ua grande stagione nelle arti negli anni '80, negli
anni '90 ha conosciuto un grande successo internazionale con la musica, e non penso solo
alla salsa; questo tipo di creatività è toccata al cinema negli anni '60. Adesso stiamo
vivendo una stagione condizionata dalla crisi economica, in un contesto culturale
diverso"
- Il boicottaggio condiziona l'arrivo al mercato internazionale dei film cubani?
"E' molto difficile vendere film e non perché sono cubani: succede lo
stesso con i film messicani. E' anche difficile spiegare perché succede. Prendiamo
l'esempio dell'Iran, un Paese che politicamente non piace all'Occidente, che ha una
cinematografia che non ha tante risorse economiche, che racconta storie semplici, in cui
spesso sono protagonisti i bambini e che da dieci anni piace nei Festival Internazionali.
Non direi quindi che il problema è l'ostilità politica dell'Occidente"
- Il successo internazionale di Fragole e Cioccolata e di Guantanamera
ha dato un contribuito alla distribuzione del cinema cubano?
"Non credo. Sono film che sono nati da coproduzioni, tutti i film cubani che
hanno avuto successo non sono solo cubani, ma hanno contributi di altri Paesi. E così è
successo che chi meglio ha utilizzato questi successi sono state le altre parti coinvolte.
Forse a noi manca una visione di futuro, una certa progettualità che permetta di cogliere
queste occasioni"
- Ci sono pregiudizi verso il cinema cubano?
"A causa dell'incarcerazione dei dissidenti e le ultime fucilazioni il
boicottaggio si è irrigidito e sono arrivate anche le critiche degli intellettuali
europei. E' cambiato soprattutto l'atteggiamento dell'Europa verso Cuba. Ma pregiudizi
verso il cinema non credo ce ne siano"
- Guardando al futuro della distribuzione internazionale del cinema latino
americano, si sente ottimista o pessimista?
"Non sono molto ottimista. Non credo che le cose cambieranno facilmente.
L'unico modo di avere un cambio è che il nostro cinema, per qualche ragione, diventi di
moda. E non credo che in questo possano aiutare i latinos degli Stati Uniti: fare
film negli Stati Uniti non è come farli in America Latina, mi sembra ovvio"
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