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XIX FESTIVAL DEL CINEMA LATINOAMERICANO

                     TRIESTE, 23-31 OTTOBRE 2004 - CINEMA TEATRO MIELA

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:: articoli ::

PABLO NERUDA: A 100 ANNI DALLA NASCITA, 100 FILM
INTERVISTA A HUGO ARÉVALO

IMG_3116-150px.JPG (18392 byte)La serie di documentari sulla vita e le opere di Pablo Neruda, realizzati per Canal 13 di Tv-Chile e proiettati per la prima volta fuori dal loro paese di produzione durante il Festival del Cinema Latinoamericano di Trieste, rappresentano i lavori di maggior interesse del regista cileno emigrato in Italia per dieci anni (1974-1984) Hugo Arévalo. Queste pellicole, proposte da martedì 26 a venerdì 29 nella sala video, sono state raccolte in una sezione dedicata al ricordo del poeta cileno Pablo Neruda nel centenario della sua nascita e intitolata Neruda racconta Neruda. Unico suo lavoro in concorso nella sezione Videoamerica, il documentario del 2004 Neruda fugitivos: Testimonios, che descrive i tredici mesi di clandestinità del poeta iniziati nel febbraio 1948.

- La maggior parte delle opere da Lei realizzate sono dedicate al ricordo e alla ricostruzione della vita di Pablo Neruda. In che modo è iniziato questo lavoro?
Nel 1970 lavoravo come regista di televisione. Quando Canal 13 di Tv-Chile mi propose di girare una serie di documentari su Neruda, avevamo solamente un elenco di titoli e le sue poesie e bisognava cercare di dare un senso e un’unità al tutto. Con Neruda abbiamo, quindi, rivisto i temi. Alcuni sono rimasti, altri sono stati tolti, altri ancora aggiunti. All’inizio Neruda aveva poca fiducia in questo lavoro, perché provenivo dalla televisione e dall’ambiente giornalistico e lui era molto criticato dai giornalisti perché di orientamento di sinistra. Quando, però, ha capito come lavoravo siamo riusciti a creare una collaborazione straordinaria.

- Come si compone questo suo vasto lavoro?
La mia intera opera su Neruda è un lavoro di molti anni, suddiviso in quattro periodi e iniziato nel 1970 con Historia y geografia de Pablo Neruda. Venti capitoli, ognuno su un tema specifico, con la lettura e l’interpretazione da parte dello stesso Neruda di testi che parlavano di quegli argomenti. Si tratta di una pellicola in 16 mm, in bianco e nero, che fu trasmessa in televisione nel 1971. Questa prima parte descriveva i luoghi che avevano ispirato il poeta, molti dei quali erano paesaggi biografici. Dopo questa prima serie di cortometraggi, nel 1973 ho realizzato una biografia di un’ora e quattro minuti, sempre in bianco e nero, raccontata dallo stesso Neruda. Normalmente è un’altra persona che espone la biografia di un artista. In questo caso, invece, è lo stesso Neruda che parla di se stesso e per questo per la sezione abbiamo scelto la dicitura Neruda racconta Neruda. La biografia è suddivisa in cinque parti: la sua vita, la sua famiglia, in particolare il rapporto con la matrigna, i suoi amori (le donne che hanno ispirato le sue poesie e le sue mogli), le sue case, perché Neruda si costruì tre case, ognuna con una propria storia riportata in diversi suoi libri, e, infine, la sua opera, la rassegna dei libri pubblicati fino a quella data.

- Quali opere sono state, invece, realizzate dopo la morte del poeta?
Nel 1990, anno in cui la casa di Neruda è stata aperta al pubblico come museo, ho girato un video a colori senza Neruda, Isla Negra: Neruda y el mar, un’opera questa per descrivere il rapporto di Neruda con il mare. Io sono stato il primo ad entrare nella casa di Neruda dopo la sua sistemazione per descrivere con la telecamera quello che lui raccontava nei suoi libri e nelle poesie. La sua casa appare, infatti, come una nave portata a riva dall’alta marea, perché si staglia sopra le rocce a cinquanta metri dall’Oceano Pacifico. L’ultimo lavoro s’intitola, infine, Neruda fuggitivo: Testimonios. Terminato lo scorso dicembre, quest’opera è una produzione indipendente che racconta i tredici mesi in cui Neruda, perseguitato per motivi politici, è stato nascosto presso una famiglia cilena nel 1948. Chi lo ha nascosto non sapeva che era lui, ma lo hanno accolto ugualmente con generosità.

- Rendere la poesia nel cinema. Che rapporto esiste fra queste due forme di arte nelle sue pellicole?
Nei romanzi, così come nella poesia, una persona costruisce l’immagine dei personaggi e le situazioni nella propria mente. Mettere in immagini concrete queste immagini della mente vuol dire uniformare lo scritto. E’ un’operazione molto rischiosa, perché impedisce che l’immaginazione se ne vada libera. L’importanza di questo mio lavoro, al di là del suo rendere concrete le immagini che le poesie e i testi di Neruda suggeriscono, è il fatto di avere permesso di far conoscere il volto, gli occhi, il sorriso, il modo di parlare di Neruda. Senza questo filmato non avremmo avuto niente se non fotografie. Il cinema, inoltre, ha contribuito perché lo scrittore creasse due nuove opere. Neruda si alzava prestissimo, alle sei del mattino, e scriveva prima di fare colazione. Durante le riprese abbiamo sempre cercato di conservare questi suoi ritmi di vita. Questo gli ha permesso di scrivere due opere in questi mesi, Geografia infructuosa e La rosa separada, che parla dell’isola di Pasqua, dove abbiamo ambientato uno dei venti capitoli realizzati.

- Come è stato per Lei regista lavorare con Pablo Neruda poeta e non attore?
Abbiamo instaurato un rapporto di padre e figlio. Neruda non aveva figli e così mi trattava come se io fossi suo figlio e non io il regista e lui l’attore. Questa esperienza mi ha portato, inoltre, una grande crescita professionale, perché in seguito non mi è più capitato di lavorare con un personaggio del so calibro. Neruda non ripeteva mai le scene, perché gli dava noia e pensava che questo avrebbe fatto perdeva spontaneità alle sue interpretazioni. Questo rapporto umano con Neruda è rimasto fino alla fine, perché sono rimasto vicino a lui anche nei suoi ultimi giorni. Mi ha chiamato a casa sua a Isla Negra quando stava già male. Voleva sapere cos’era successo a Santiago e così quella notte abbiamo parlato a lungo. Il giorno seguente lo abbiamo portato all’ospedale e dopo due giorni è morto. Il suo corpo è stato riportato a Isla Negra dal cimitero di Santiago solo otto anni fa, quando è stata costruita una tomba per lui nel giardino della sua casa.

 

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